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Sui prezzi delle case inizia a farsi sentire la classe energetica

Con il calo delle compravendite tengono i valori degli alloggi nuovi e di alcune città, soffrono gli altri

Lo scoppio della bolla immobiliare cinese e i segnali di tensione che stanno caratterizzando alcuni mercati europei risuonano come una lontana eco alle nostre latitudini, almeno per ora. Il rallentamento è evidente sul fronte delle transazioni, ma i prezzi tengono. Anche se scavando in profondità, emerge un divario crescente tra centri cittadini e soluzioni ad alta efficienza energetica, che continuano a calamitare la domanda, e immobili più vetusti, che faticano a trovare mercato anche alla luce dell’evoluzione normativa. Con il forte rialzo dei tassi sui mutui che esclude un numero crescente di famiglie dal mercato, mentre chi ha consistenti patrimoni investe nelle seconde case per cavalcare il boom degli affitti brevi.

Cominciamo dai numeri. Nel primo trimestre 2023, segnala l’Agenzia delle Entrate, le compravendite in campo residenziale sono calate dell’8,3% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno, ma tra gli addetti ai lavori la sensazione è che il peggio sia alle spalle. Scenari Immobiliari si attende un bilancio per l’intero anno in calo del 7% sul 2022, a quota 726 mila unità scambiate (da 780 mila nel 2022), un livello comunque superiore agli ultimi anni pre-Covid, mentre a 740 mila si collocano le previsioni della Fiaip, che rappresenta tutta la filiera del settore, agenti immobiliari, consulenti del credito, gestori degli edifici. Per Nomisma, il settore è alle prese con una fase di appannamento, ma senza drammi. Nell’Osservatorio relativo al primo semestre si rileva che a inizio anno le banche hanno un po’ stretto le maglie delle erogazioni.

Poi la situazione è andata normalizzandosi, anche perché non c’è per ora un problema di crediti deteriorati. Certamente il caro-mutui complica l’accesso al credito (le richieste di istruttoria sono in calo del 23,8% nel primo trimestre rispetto a un anno prima) per molte famiglie, ma in tanti stanno dando fondo ai risparmi accumulati negli anni proprio per comprare casa. Lo fanno perché l’abitazione di proprietà resta in cima ai sogni degli italiani, anche dei più giovani, e in alcuni casi anche come mossa antinflazione, dato che tenere fermi i soldi in deposito non rende, mentre le altre asset class presentano diversi fattori di tensione.

Calcola Nomisma, i prezzi sono cresciuti di un altro 1% (+3,8% nel 2022, rileva l’Istat), un ritmo che per la società di ricerca dovrebbe essere confermato per l’intero 2023 e anche nel prossimo biennio. In uno scenario ricco di incognite, il mattone viene percepito come bene rifugio, segnala Dario Castiglia, ceo di Re/Max Italia, rilevando una tenuta della domanda «soprattutto dove non c’è ricorso al credito». Una tendenza che si spiega anche alla luce del boom prolungato che stanno registrando gli affitti brevi. In tanti investono in mono e bilocali per locarli ai turisti e assicurarsi una seconda entrata oltre al lavoro. «Lo short rent offre rendimenti del 5-6% netto contro il 3% delle locazioni tradizionali», racconta Gian Battista Baccarini, presidente di Fiaip: «Dalle nostre rilevazioni emerge che lo scorso anno gli acquisti di seconde case sono cresciuti del 24% e il trend di crescita sta continuando anche nel 2023. Chi compra per investimento fa ricorso al mutuo solo nel 30% dei casi contro il 70% degli acquisti prima casa», aggiunge.

Tornando al mercato generale, Castiglia si mostra ottimista sul futuro prossimo: «I rialzi dei tassi viaggiano verso il picco e questo fa ben sperare per il futuro, anche se ci aspettiamo ancora una domanda a macchia di leopardo, con una domanda molto sostenuta soprattutto per gli immobili di pregio». Intanto segnala un cambio di rotta nei desiderata delle famiglie. «Se durante la pandemia vi è stata la tendenza ad abbandonare le città per acquistare case più grandi e con spazi all’aperto, stanno tornando in auge immobili di dimensioni contenute, principalmente bilocali ma anche monolocali situati in zone strategiche delle città.

Tornando al mercato generale,Castiglia si mostra ottimista sul futuro prossimo: «I rialzi dei tassi viaggiano verso il picco e questo fa ben sperare per il futuro, anche se ci aspettiamo ancora una domanda a macchia di leopardo, con una domanda molto sostenuta soprattutto per gli immobili di pregio». Intanto segnala un cambio di rotta nei desiderata delle famiglie. «Se durante la pandemia vi è stata la tendenza ad abbandonare le città per acquistare case più grandi e con spazi all’aperto, stanno tornando in auge immobili di dimensioni contenute, principalmente bilocali ma anche monolocali situati in zone strategiche delle città. Un fenomeno che si spiega sia con la crescita degli affitti brevi, sia con le agevolazioni normative per gli under 36, che prediligono i centri cittadini per muoversi anche senza mezzi privati». Quanto alle due principali città italiane, a Roma il calo delle compravendite nel primo trimestre è stato di poco superiore al 10%, mentre a Milano addirittura del 23%, ma in entrambi i casi i prezzi hanno continuato a crescere. Nel capoluogo milanese, il primo semestre si è chiuso con quotazioni ancora in progresso, grazie soprattutto al traino delle zone centrali.

«A Milano si registra qualche segnale di tensione sui nuovi cantieri, che in alcuni casi stanno accumulando ritardi per l’incremento delle materie prime», racconta Enzo Albanese, fondatore di ideeUrbane. «In ogni caso, al di là delle tendenze generali, cresce il divario tra le abitazioni ad alta efficienza energetica, che catalizzano la domanda, e quelle più vetuste, che sempre più faticano a incontrare la domanda». Un fenomeno che riguarda tutta la Penisola ed è dovuto soprattutto alla proposta di direttiva europea “Case Green”, che prevede l’obbligo di raggiungere quanto meno la classe energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033.

Considerato che gli immobili costruiti prima degli anni Ottanta sono quasi tutti in classe F o G, dovranno subire pesanti ristrutturazioni. Secondo un’analisi del Centro Studi di Re/Max Italia, nel primo semestre lo sconto medio praticato sugli immobili in classe G – rispetto alle richieste – è di circa due punti percentuali più alto rispetto a quelli in classe A, una tendenza destinata a rafforzarsi con l’approvazione della direttiva.